Gentile Direttore,

ho letto con attenzione l’articolo comparso su  Altroconsumo 295, Settembre 2015 “  dal titolo “Non crediamo in BIO” e sono rimasta profondamente sconcertata sia come cittadino che cerca di fare scelte consapevoli,  ma soprattutto come medico che ha a cuore la salute umana. Non le nascondo inoltre che ho provato una  profonda delusione nel vedere affrontato in modo quanto meno superficiale da una rivista che vorrebbe porsi a tutela del consumatore un  tema tanto delicato. Dall’articolo emerge molto chiaramente una “bocciatura” del biologico, che del resto risultava lampante già dal titolo, perché, in  base alle vostre indagini  condotte su mele, fragole, carote e pomodori ciliegini  non vi sarebbero differenze sostanziali fra i  due gruppi in termini di nutrienti e vitamine ed i pesticidi riscontrati sarebbero sempre ben al di sotto dei limiti di legge nei prodotti da agricoltura convenzionale.  Unica eccezione di un campione di fragole in cui è presente una sostanza vietata per questa coltura quale il carbaril,  presente ben oltre i limiti di legge. In realtà a ben esaminare i vostri risultati si può giungere invece a conclusioni nettamente opposte: voi avete esaminato 71 campioni bio e non bio di  mele, fragole, carote e pomodori ciliegini :  fra i prodotti biologici 8 campioni hanno presentato la presenza di 1 residuo ( 1 di fragola e 7 fra i  pomodori ciliegini), mentre fra i prodotti non bio ben 63 presentavano residui ed in 6 casi vi era più di un residuo, addirittura fino a 5 diversi pesticidi in un campione di fragole! Nell’articolo viene ripetutamente sottolineato che tutti residui sono  comunque “entro i limiti”  ad eccezione di  due campioni di fragole fuori legge entrambi contenenti carbaril, pesticida non ammesso ed in quantità superiore ai limiti consentiti (in uno dei due campioni, inoltre erano presenti anche altri due pesticidi). In realtà facendo solo un piccolo conteggio – visto che è raccomandabile introdurre giornalmente una grande varietà di frutta e verdura – chi si alimenta in modo non biologico introduce qualche decina di diversi pesticidi al giorno! Davvero il fatto che le singole sostanze siano entro i limiti di legge può rassicuraci? E che dire della consistente presenza di multiresidui in singoli campioni? Quest’ultimo problema  non è affatto trascurabile ed  è crescente nella Comunità Scientifica la consapevolezza che la valutazione di rischio delle miscele di agenti chimici (in primis i pesticidi!) è ampiamente sottostimato. Proprio per questo è stato di recente avviato in Francia uno studio (PERICLES) che  si propone di valutare su linee cellulari umane e test di laboratorio gli effetti di 79 residui di pesticidi in 7 diverse miscele (da 2 a 6) presenti abitualmente nella dieta dei francesi ed i primi risultati mostrano come svariate funzioni cellulari vengono compromesse da questi cocktail con effetti che non possono in alcun modo essere compiutamente previsti sulla base dell’azione della singola sostanza. (The PERICLES research program: An integrated approach to characterize the combined effects of mixtures of pesticide residues to which the French population is exposed.Crépet A, Héraud F, et al. Toxicology 2013). Sempre a questo proposito credo che  i  lettori dovrebbero essere adeguatamente informati e messi a conoscenza che:

  • i test tossicologici per la registrazione di queste sostanze vengono eseguiti sul principio attivo e non sul formulato commerciale (spesso molto più tossico come, ad esempio, nel caso del glifosate in cui nel prodotto commerciale è presente una serie di adiuvanti come il polyoxyethylene amine (POEA) molto più tossici del principio attivo (Williams et al., 2000; Howe et al., 2004; Santos et al., 2005; Jasper et al. 2012, Mesnage et al., 2012).
  • l’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) incaricata di queste valutazioni non dispone di propri laboratori ma esamina le indagini autonomamente condotte dalle aziende proponenti, indagini in genere condotte su animali di laboratorio per periodi molto brevi (non per tutta la durata della vita dell’animale)
  • gli studi vengono condotti per singola sostanza e non sui cocktail di molecole cui siamo stabilmente esposti
  • esiste una possibile diversità di effetti tossici fra composti originari e loro metaboliti: ad es l’acido aminometilfosfonico (AMPA) metabolita del glifosate è dotato di genotossicità e persistenza nell’ambiente maggiore del Glifosate (Manas et al., 2009).
  • possono essere presenti effetti anche per dosi inferiori ai limiti consentiti  e per esposizioni minimali: questo è stato dimostrato per l’atrazina e per il glifosate è emerso che viene alterata l’attività del citocromo P450 su cellule placentari umane  a dosi 100 volte inferiori di quelle ammesse in agricoltura
  • esiste ovviamente una diversa suscettibilità individuale in relazione a fattori genetici, età, genere, stato nutrizionale, abitudini personali etc
  • I  limiti sono stabiliti su adulti di 70 kg in buona salute quando è ben noto che negli organismi in via di sviluppo, in particolare nel periodo embrio fetale, nei neonati e nei bambini la suscettibilità è enormemente maggiore

Tutto questo per ribadire che le dosi “piccole” e ripetute nel tempo non sono affatto scevre da rischi per la salute: noi tutti, ancor prima di nascere, siamo sottoposti all’azione di centinaia di molecole di sintesi che sono presenti nei corpi dei nostri genitori e, come nel caso delle molecole con azione di “interferenti endocrini” ( quali sono moltissimi pesticidi) agiscono per definizione proprio a dosi minimali e possono alterare i gameti ( spermatozoi ed ovociti), con danni che si trasmettono da una generazione all’altra.  L’esposizione prosegue poi nel grembo materno perché queste sostanze passano dalla madre al feto ed ovviamente si prolunga  per tutto il resto della  vita: certamente non tutti abbiamo la stessa suscettibilità ma è incontestabile il fatto che nella comunità scientifica la preoccupazione per le patologie correlate ai pesticidi è massima come dimostrano i circa 20.000 lavori scientifici pubblicati a questo riguardo su riviste scientifiche. Segnalo che a questi temi  è stato dedicato un convegno ad Arezzo nello scorso ottobre i cui  atti sono qui scaricabili: https://gruppodistudioambientesalute.files.wordpress.com/2014/11/atti-i-pesticidi-arezzo-2014006.pdf  . In sintesi vorrei rammentare che ad esposizione cronica a pesticidi  ( professionale e non) è correlato un incremento statisticamente significativo del rischio delle seguenti patologie: asma professionale, bronchite cronica e BPCO ,  Morbo di Parkinson, Morbo di Alzheimer, Sclerosi laterale amiotrofica, diabete, patologie cardiovascolari, patologie autoimmuni,  patologie renali, disordini riproduttivi,  malformazioni e difetti di sviluppo,  malattie della tiroide,  alterazioni dello sviluppo cognitivo, motorio e neurocomportamentale nei bambini ,  cancro (tutti i tumori nel loro complesso, tumori del sangue, cancro al polmone, pancreas, colon, retto, vescica, prostata, cervello, melanoma).

In particolare sono proprio le donne in gravidanza quelle che maggiormente dovrebbero essere preservate da esposizioni anche minimali a queste sostanze: un recente studio ha valutato che ogni anno in Europa si perdano ben 13.000.000 ( sì, 13 milioni!)  di punti di Quoziente di  Intelligenza (QI) e  si contino 59.300 casi di disabilità intellettiva per esposizione a pesticidi  organofosfati in gravidanza (Trasande L1, Zoeller RT, Hass U Estimating burden and disease costs of exposure to endocrine-disrupting chemicals in the European union. J Clin Endocrinol Metab. 2015 Apr;100(4):1245-55). Ancora, ad esempio, è emerso che il rischio di leucemia per la prole è più che raddoppiato se l’esposizione è avvenuta in utero (Residential exposure to pesticides and childhood leukaemia: a systematic review and meta-analysis Residential exposure to pesticides and childhood leukaemia: a systematic review and meta-analysis Environ Int. 2011 Jan;37(1):280-91)

Vorrei anche sottolineare che l’assunzione di pesticidi non avviene solo attraverso frutta e verdura, ma anche attraverso carne e derivati (latte, formaggi etc) provenienti da animali alimentati con mangimi OGM. Anche di questo i lettori dovrebbero essere informati, perché oltre l’85% dei mangimi importati ed utilizzati nel nostro paese è rappresentato da mais e soia geneticamente modificati per essere resistenti ad erbicidi (glifosate) che quindi vengono utilizzati in quantitativi sempre maggiori anche per insorgenza di resistenze. Questo problema è emerso recentemente in una prestigiosa rivista medica, il New England Journal of Medicine, in cui si sottolinea  come il  glifosate sia stato  classificato dalla IARC come cancerogeno probabile (2A)  (GMOs, Herbicides, and Public Health Philip J. Landrigan, M.D., and Charles Benbrook, Ph.D.N Engl J Med 2015; 373:693-695 August 20, 2015). Queste sostanze in definitiva si accumulano nelle carni degli animali o nei loro prodotti di cui poi ci nutriamo e studi dimostrano come maggiori livelli dei loro metaboliti siano presenti nelle urine di chi si alimenta di questi prodotti rispetto a chi invece utilizza prodotti da allevamenti biologici. Perché non dare queste informazioni alle persone visto che ad es. il glifosate non è solo cancerogeno ma alcuni studi lo correlano a patologie in crescente aumento come la celiachia?

All’inizio dell’articolo viene giustamente sottolineato come l’agricoltura biologica sia più rispettosa della salubrità del terreno, in quanto vengono previste le rotazioni delle colture, non utilizzi fertilizzanti chimici che nel lungo termine impoveriscono il terreno, tuteli la biodiversità – basti pensare alla moria di insetti utili (api!) correlata all’uso di neonicotinoidi  etc., ma poi si afferma che chi fa la scelta del biologico lo fa più per una scelta egoistica personale che non per motivazioni etico/ambientali. Personalmente non condivido affatto questa valutazione perché, fortunatamente, chi fa la scelta del biologico lo fa non solo per motivi di salute personale ( che, contrariamente a quanto asserito nell’articolo, credo siano più che dimostrati), ma perché ha maturato la consapevolezza che “non possiamo semplicemente più  continuare a produrre cibo senza prenderci cura del nostro suolo, dell’acqua e della biodiversità”, per cui  “ aumentare la percentuale di agricoltura che utilizza metodi biologici e sostenibili non è una scelta, è una necessità” come recentemente affermato da  Claire Kremen dell’Universtà di Berkeley  in una revisione di 115 ricerche scientifiche per confrontare agricoltura biologica e convenzionale e pubblicato  dalla Royal Society (http://rspb.royalsocietypublishing.org/).

Per cui,  Gentile Direttore, in conclusione, la invito a fornire una più corretta informazione  ai lettori,  e soprattutto a documentarsi in maniera adeguata perché “credere in Bio” non è un atto di fede, ma una scelta consapevole e responsabile per la sostenibilità ambientale e la salute umana!

Cordiali saluti

Dott.ssa Patrizia Gentilini

Medico Specialista in Oncologia  ed Ematologia Generale

Comitato Scientifico Associazione dei Medici per l’Ambiente ISDE Italia

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